20 marzo 2006

Il Basilisco nella Schönlaterngasse

Di questa leggenda viennese esistono due versioni non molto dissimili tra loro. Questa è una.

Il 26 giugno del 1212 forti grida e un gran chiasso si levarono di primo mattino nella casa di un mastro fornaio nell'odierno quartiere di Schönlaterngasse, che allora si chiamava "unterm Tempelhof". Si sentivano grida d'aiuto e di dolore e, di lì a poco, si riunì una folla di curiosi che si chiedeveno quale fosse il motivo di quel baccano.
Giunse a cavallo pure il giudice conciliatore, il quale s'informò se fosse stato arrecato danno o violenza a qualcuno.
A quel punto il mastro fornaio, pallido in volto, uscì dalla casa e il giudice conciliatore gli chiese la ragione di tale confusione. Egli rispose che una delle sue serve era andata nel cortile ad attingere dell'acqua dal pozzo, ma era rientrata senza aver concluso nulla e gridando che fuoriusciva dal pozzo un odore terribile che l'aveva quasi fatta svenire. Strani bagliori e scintille provenivano dal fondo e lei era quasi morta per la paura. Uno dei garzoni del fornaio l'aveva derisa per la sua paura e, baldanzoso, si era offerto di andare a vedere coi propri occhi tale strana meraviglia. Si legò una corda alla vita e, accesa una torcia, si fece calare nel pozzo. Era appena sceso di pochi metri quando lanciò anch'egli un grido spaventoso e, mezzo morto, venne riportato su prontamente. Una volta fatto rinvenire, raccontò con voce tremante che quando aveva guardato giù aveva visto una bestia mostruosa, simile ad un grosso gallo ma d'aspetto orribile, con molte squame, zampe tozze e verrucose, occhi straordinariamente sfavillanti e una cresta sul capo. Gli pareva che il mostro fosse l'unione di un gallo, un rospo e una serpe: in tutta la sua vita non aveva mai visto nulla di più orripilante. Il giovane aveva chiuso subito gli occhi e gridato chiedendo aiuto, poiché aveva l'impressione che lo sguardo sfavillante del mostro gli stesse facendo gelare il sangue nelle vene. E senza dubbio sarebbe morto miseramente a causa della disgustosa puzza che gli soffocava il petto e gli toglieva il respiro, se non lo avessero tirato su prontamente.
La gente, stupita da tale racconto, se ne stava senza proferire parola.
Allora si fece avanti un medico assai erudito ed esperto in Scienze naturali, che spiegò che la creatura mostruosa era chiamata basilisco, un essere nato prodigiosamente da un uovo deposto da un gallo e covato da un rospo. Il famoso naturalista Plinio aveva descritto tale animale e diceva che il suo sguardo era così mortale che chiunque lo avesse incrociato ne sarebbe morto, e che poteva essere ucciso solamente ponendogli di fronte uno specchio di metallo ben lucidato. La bestia, infatti, una volta scorta la sua stessa immagine, sarebbe rimasta così inorridita e infastidita dalla sua mostruosità, che furibonda d'ira sarebbe scoppiata . Però tale impresa era talmente colma di pericolo che egli non intendeva compiere cotanta prova.
Nonostante il buon consiglio, non ci fu nessuno che osò intraprendere tale avventura. Allora il giudice conciliatore ordinò che fossero portate della terra e delle grosse pietre. Il tutto venne gettato nel pozzo e così il mostro rimase schiacciato e fu quindi annientato.
Il garzone morì comunque quello stesso giorno.
A eterno ricordo una fedele riproduzione della bestia mostruosa venne collocata in una nicchia della casa insieme ad un'iscrizione.


Fonte: www.sagen.at
Traduzione di Sab

18 marzo 2006

La leggenda del Lindwurm - Carinzia

All’epoca in cui il duca Karast regnava dall’alto della sua rocca, la Karnburg, la regione compresa tra il lago di Wörth e la Drava era interamente coperta da acquitrini, sterpaglie e da un intrico di alberi. Mentre sulle montagne pascolavano innumerevoli i greggi e le mandrie, la bassa, con quel suo groviglio sinistro ed impenetrabile solo raramente vedeva poggirsi sul suo suolo piede umano. Infatti, nessuno di coloro che vi si erano mai avventurati aveva più fatto ritorno. Di tanto in tanto spariva anche qualche vacca bella pingue ed inutilmente i pastori ne andavano in cerca. Nessuno aveva mai visto la spaventosa belva, che non risparmiava né uomini né animali in quanto, di solito, la zona era coperta da una fitta nebbia. A volte, tuttavia, era possibile udire il suono di un sordo ringhio o di un terribile lamento. Il duca ordinò ai suoi più prodi combattenti di scovare la tana del mostro e di ucciderlo. Ma fu tutto inutile. La paura e l’orrore si erano impossessati anche dei più valorosi. Soltanto con l’astuzia si sarebbe riusciti a stanare l’essere immondo dal suo sicuro rifugio. In breve tempo sul bordo della palude fu eretta una possente torre dalle cui feritoie ben protette era possibile osservare l’avvicinarsi del nemico. Un gruppetto di arditi servi, attirati dalla ricompensa per la vittoria, decise di scendere in campo. Il duca, infatti, aveva fatto annunciare che: "Chi, con l’astuzia o con la forza, riuscirà a sconfiggere il mostro avrà la torre ed una lauta ricompensa; l’intera terra, da un fiume all’altro, sulla quale ora regna l’avida gola dell’immonda creatura sarà proprietà del vincitore; ed egli sarà libero, anche se ora fosse schiavo!" I servi legarono un toro grasso ad una catena che fissarono poi ad un uncino. Le grida dell’animale impaurito riempirono l’aria. Non passò molto che le acque della palude si incresparono e la spuma sprizzò fino al cielo. Come una freccia, un ribrezzevole verme alato e coperto di squame si scaraventò sulla bestia afferrandola con i suoi artigli. Le enormi fauci dentate si aprirono per inghiottirla. A questo punto, però, l’uncino si piantò nella tenera carne del palato. La belva tentò di divincolarsi disegnando con la coda paurose spire ed affondando gli artigli nella pancia del toro. Ecco che dal loro riparo saltarono fuori repentini i servi che, armati di clave dentate, riuscirono ad abbattere il mostro. Per un’ultima volta l’immenso corpo del drago si contrasse e diede un sussulto, poi tutto finì ed il paese fu finalmente libero della piaga del Lindwurm.
Sul luogo dove si era svolta la lotta sorse un pacifico villaggio e laddove era stata eretta la torre il duca fece costruire il suo castello fortificato. Proprio da questo castello e da questo villaggio si sviluppò, nel corso dei secoli, una città, l’attuale capitale della Carinzia: la ridente Klagenfurt.
Da: J. Rappold, Sagen aus Kärnten, Graz 1887. Fonte e traduzione: http://www.info.klagenfurt.at/inhalt/1420.htm